Agostino Cappello nacque ad Accumoli (Rieti) il 15 nov. 1784 da Nicola e da Ancilla Marini. Studiò ad Ascoli Piceno filosofia e storia naturale, e si laureò in medicina il 13 ag. 1807. Dopo aver trascorso un periodo di perfezionamento a Roma presso l’Archiginnasio della Sapienza e l’ospedale di S. Spirito, sotto la guida di G. B. Bomba, il 20 maggio 1808 conseguì a Napoli l’abilitazione all’esercizio della professione medica; l’anno seguente, tale abilitazione gli venne riconosciuta valida anche per Roma. Nel gennaio 1808 sposò Maria Staderini, e tornò ad Accumoli con il titolo di medico condotto.
Tuttavia la salute cagionevole della consorte lo indusse, nel novembre dello stesso anno, dapprima a tornare a Roma, quindi a stabilirsi a Castelnuovo di Porto (Roma) per tutto il 1809 e poi a Tivoli (Roma), dove il 13 apr. 1810 otteneva l’assegnazione di una delle due condotte mediche. In questa città, ove rimase sino al 1822, il C. trascorse un periodo fervido di attività e di studi, interamente dedito alla sua professione, nel cui esercizio dimostrò notevoli doti di abnegazione e di capacità: così in occasione dell’epidemia di tifo del 1817, quando seppe attuare le più progredite norme igieniche, istituendo commissioni sanitarie e creando ospedali per i poveri; così nel 1818, durante una epidemia di carbonchio diffusasi tra i cavalli della polizia, quando praticando l’autopsia di un animale contrasse egli stesso l’infezione.
Attratto dallo studio delle malattie trasmissibili per contagio, argomento che poi lo avrebbe sempre interessato, il C. esordì il 31 luglio 1823 leggendo nell’Accademia dei Lincei la Memoria sull’idrofobia, che pubblicò poi nel Giornale arcadico quando ne divenne collaboratore, nel 1831 (tomo XX, parte II, p. 54).
Probabilmente spinto dal desiderio di conoscere le condizioni ambientali favorenti lo sviluppo di determinate malattie, egli estese il campo delle sue ricerche con indagini sulla topografia del territorio tiburtino, con particolare riferimento ai regimi idrici della regione, e in base a considerazioni geognostiche, idrostatiche e fisiche giunse a prevedere lo straripamento dell’Aniene del 1827, che determinò gravi danni alla regione. D’altra parte, appassionato di studi storici e geologici, già nel 1819 aveva segnalato alcune omissioni nel calendario fisico-storico di G. Del Re, e più tardi fu autore di ricerche geologiche e storiche su Accumoli, sulle acque albule di Tivoli, sulla valle superiore del Tronto e sulla orografia del Gran Sasso.
Nonostante la morte della moglie e lo smembramento della sua famiglia, il C. continuò la sua professione, sino a che nel 1822, accusato dal vescovo di Tivoli D’Isoard di essere liberale, irreligioso e carbonaro, abbandonò la condotta e tornò a Roma: qui Domenico Morichini, direttore della cattedra di chimica dell’università e suo conterraneo, lo chiamò a far parte della Società dei Babbioni, uno dei circoli scientifici più noti e accreditati del tempo.
Sempre apprezzato come medico, nel gennaio 1824 papa Leone XII volle che si recasse a Spoleto, per curare sua sorella la contessa Mongalli: nonostante che la prognosi infausta espressa dal C. trovasse presto conferma nel decesso dell’ammalata, numerose furono le critiche che i contemporanei rivolsero al papa per aver concesso fiducia ed amicizia ad un medico tacciato di irreligiosità e di liberalismo. Solamente nel 1828, quando con una dichiarazione ufficiale il vescovo di Tivoli ritrattò le sue accuse, il C. poté riguadagnare in parte la stima della corte papale.
Il suo valore professionale venne ufficialmente riconosciuto da Gregorio XVI, che nel 1831 lo raccomandò alla Congregazione degli Studi per il conferimento della cattedra di clinica medica presso l’università di Roma e nel 1832 lo inviò in Francia, membro di una Commissione sanitaria incaricata di accertare le cause e le vie di diffusione dell’epidemia di colera che colà stava diffondendosi e che minacciava di dilagare anche in Italia, e di studiarne adeguate misure profilattiche. A Parigi il C. rimase sino al settembre 1832, e malgrado avesse contratto una lieve forma del male, stabilì numerosi contatti con altri illustri medici provenienti, per lo stesso motivo, da altre nazioni europee.
Tornato a Roma, nel 1833, a spese del governo, dava alle stampe la Storia medica del cholera indiano osservato a Parigi da Agostino Cappello e Lupi Achille colà inviati dal Sommo Pontefice Gregorio XVI nell’anno 1832, rassegna accuratissima di tutte le conoscenze sull’affezione che autorevoli riviste scientifiche contemporanee giudicarono superiore a quelle delle commissioni sanitarie di altri paesi europei.
Nel 1834 Gregorio XVI gli assegnava una rendita vitalizia, e l’anno successivo lo chiamava a far parte della Congregazione speciale sanitaria istituita per adottare le misure necessarie per controllare l’epidemia di colera che già stava estendendosi in Piemonte, nel Veneto e nelle Marche. Inviato nel 1836 ad Ancona per suggerire le misure necessarie per debellarvi l’infezione non riuscì a far attuare i suoi suggerimenti, poiché il Comitato di Salute Pubblica non volle prendere in considerazione il parere di un medico che, per quanto esperto in materia, aveva nuovamente contratto il morbo.
Richiamato a Roma nel luglio del 1837, essendogli stato rinnovato l’incarico nella Congregazione speciale, si adoperò strenuamente per indurre i medici dell’ospedale di S. Spirito a prendere opportune cautele prima di frequentare le corsie dopo aver effettuato autopsie di soggetti deceduti per colera, e, sostenitore della trasmissione del contagio per via indiretta, affermò la necessità di vietare la vendita delle verdure e della frutta fresche che aveva accertato essere veicolo di infezione. Delle sue opinioni però non fu tenuto alcun conto anzi alcuni suoi colleghi presentarono reclamo affermando che poneva in pericolo la salute pubblica; solamente dopo che l’epidemia era scoppiata nella città, venne riconosciuta la fondatezza delle sue asserzioni, e il cardinale Odescalchi, vicario di Roma, gli assegnò l’incarico di provvedere alla disinfezione dell’ospizio di S. Calla.
Ritiratosi dalla Congregazione speciale di sanità nel 1847, tornò a farne parte su invito di Pio IX in occasione dell’epidemia di colera del 1854, e accettò di partecipare a Parigi al Congresso sanitario di tutte le potenze marittime, propugnando in quella sede, in base alle ricerche da lui precedentemente pubblicate (Del cholera morbus, ossia della febbre pestilenziale colerica, in Giorn. arcadico, 1831, tomi 49 e 50; Poche parole sulla rabbia canina e considerazioni in proposito della pubblica incolumità relative alla peste bubonica, ibid., 1846, tomo 107; Considerazioni ulteriori in prò dell’incolumità pubblica relative alla peste bubonica e alla febbre gialla, ibid., 1846, tomo 190; Delucidazioni istoriche di A. C. sopra il cholera di Roma del 1837, ibid., 1847, tomo 118), la necessità di dar vita ad un trattato internazionale sulle misure preventive da adottare per la peste, la febbre gialla ed il colera.
Insignito della Legion d’onore, fu membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia Pontaniana di Napoli e di numerose altre accademie e società scientifiche anche straniere.
Colpito da riacutizzazione dell’affezione carbonchiosa, che dall’epoca del contagio lo aveva sempre afflitto, morì a Roma il 31 dic. 1858.
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